Omelia XXV Anniversario - 23 Agosto 2019 - Suor Maria Alfonsa di Gesù Bambino

Omelia XXV Anniversario – 23 Agosto 2019

S.E.R. Monsignor Cesare Di Pietro
Vescovo Ausiliario

Omelia tenuta in occasione del XXV Anniversario del Pio Transito di Suor Maria Alfonsa (23 Agosto 2019), a cura di S.E.R. Mons. Cesare di Pietro

L’Arcivescovo che qui, seppur indegnamente, rappresento, si unisce a questo evento di grazia e di preghiera da Lipari dove sta celebrando i Vespri della solennità di San Bartolomeo, Patrono delle Isole Eolie e Compatrono della nostra Arcidiocesi. Mi ha pregato di porgere a tutti voi il suo saluto benedicente. Ai confratelli, presbiteri e diaconi, ai seminaristi, alle religiose, alle gentili autorità che ci hanno onorato della loro presenza qui in Cattedrale, ed a tutti voi che così numerosi affollate la Chiesa Madre della nostra Arcidiocesi, proprio per significare che Suor Alfonsa ha lasciato un’impronta significativa alla spiritualità diocesana; ma non solo, perché la sua testimonianza di santità ha travalicato i confini della nostra Arcidiocesi e adesso, i suoi devoti si espandono in tutto il mondo. E vorrei dire che lei mi sta guardando con il suo sguardo complice, con il suo sorriso di cielo che mi conforta, tanto per dirmi “guarda non avere paura a balbettare qualcosa di me”. Anche se c’è Don Frattallone che ha scritto grandi libri, Don Tonino Bono che è il Vice-Postulatore, e tutti voi che conoscete la sua biografia.

Cosa posso aggiungere? Solo qualche balbettio, ma lo faccio con tutto il cuore. Com’è bello vedere che il Cielo si riversa sulla Terra, nello sguardo, nel sorriso, nell’offerta totale di sé, di una creatura umana, assimilata totalmente a Cristo Crocifisso e Risorto, di cui facciamo questa Pasqua memoriale in questa Eucaristia. Rendiamo lode a Dio per il dono di questa Serva di Dio che è in cammino verso la santità. Una pietra miliare nella nostra storia cristiana locale ed anche universale.

Il suo Credo del Dolore è una pagina sublime di livello mistico altissimo. Potremmo dire una delle pagine della spiritualità cristiana più alte ed esaltanti. Possiamo dire, che la santità non ha età, non ha stagioni. Anche nel secolo passato, ed anche oggi, deve manifestarsi nella nostra vita.

Sant’Agostino diceva:

“Se questo e quello sono diventati Santi, perché non posso diventarlo anche io?”.

Ci deve spingere all’imitazione.

La Parola di Dio, che è Parola di Dio e non di uomini, che abbiamo ascoltato, riassume tutta la spiritualità di Suor Alfonsa.

“…Abramo vattene dalla tua terra, dalla tua parentela, dalla casa di tuo padre, verso la terra che io ti indicherò…”

C’è un’iniziativa sorprendente che raggiunge questo uomo di Dio, il nostro padre nella fede.

“…ed egli partì come gli aveva ordinato il Signore..”

cioè si rese docile a questa vocazione missionaria. E la forte connotazione alla vocazione missionaria di Suor Alfonsa è bene nota a tutti noi. Lei diceva: “Il mio sogno è essere missionaria”; e quando era già immobile, sul letto del dolore e della morte che l’avrebbe condotta all’ultimo respiro, diceva ancora in quel momento supremo: “…adesso mi piace esserlo da qui…”.

I disegni di Dio sono sorprendenti. Sapete che quando era ragazza, dopo quella delusione amorosa raggiunta nel suo quotidiano, scoprì una chiamata di speciale vocazione. Voleva farsi carmelitana, sulle orme di Santa Teresa del Bambin Gesù, almeno all’inizio, perché Patrona delle Missioni, pur essendo sempre rimasta nel chiostro di Lisieux. Con una potenza apostolica, tanto da poter dire nel cuore della Chiesa “io sarò l’Amore”. Ma poi Suor Alfonsa scopre qual è la sua vera vocazione: la riparazione evangelica secondo il carisma del vostro Fondatore, il Venerabile Monsignor Antonino Celona. Diventa Ancella, ma con questa caratterizzazione missionaria. Nel 1960 parte alla volta degli Stati Uniti d’America, in volo, volava sulle ali dello Spirito. 

Poi a Casa Madre, quando la malattia diventa evidente. Una diagnosi spietata: Artrite reumatoide cronica, nel 1967. E così nel ’68, dopo 8 anni di permanenza missionaria negli USA, arriva a Casa Madre. Umanamente amareggiata, perché quel sogno missionario sembrava infranto. Ma lei lo riconverte in questa offerta missionaria. Si offre per i sacerdoti. 

La vocazione apostolica sembra mortificata, ed invece poi viene potenziata ed esplode nell’inno di giubilo  che nel Vangelo abbiamo ascoltato

“Ti rendo lode o Padre, perché queste cose le hai nascoste ai sapienti ed ai dotti, le hai rivelate ai piccoli”

La capacità di amare con un prezzo molto alto. L’amore ha un prezzo. Senza dolore non c’è amore. E lei pagò un prezzo alto. Senza amore non c’è vita, non c’è gioia. Tanto più profondo fu il solco scavato nel suo cuore, nella sua carne, tanto più grande e traboccante fu il frutto della gioia per se e per tutti i fratelli che incontrava.

Il sorriso non lo perse mai. Non un lamento. Le lacrime le scendevano, ma quel volto era sempre radioso di amore di Dio. Questo è un dono, ma è anche una consegna di sé consapevole, libera e responsabile.

La teologia del dolore, che mentre in quegli anni veniva teorizzata in maniera splendida dalla Lettera Apostolica di Giovanni Paolo II, Salvificus Doloris, sul senso più strano della sofferenza umana, pubblicata l’11 febbraio, non a caso giornata del malato, del 1984 quella lettera poteva sembrare una splendida teoria, invece in lei era carne della sua carne, attualizzata giorno dopo giorno. Poi la Provvidenza volle che anche colui che aveva redatto quella lettera potesse insegnare al mondo sulla cattedra del dolore, il nostro Santo Padre Giovanni Paolo II, che non fu un teologo del dolore, della sofferenza umana, ma un testimone in presa diretta. E così scaturì dalle sue labbra, dal suo cuore, quell’inno, quella professione di fede vissuta “…credo al dolore come dono di Dio…”.

Sembra oggi, che la società voglia rimuovere il dolore a tutti i costi, anche se poi tutti ci sbattiamo il muso.

“…credo al suo immenso valore perché Gesù stesso lo ha usato come sublime atto di amore e di riparazione. Credo al dolore accettato, non subito”

“Prendete il mio giogo sopra di voi, prendete non subitelo come una mannaia che vi piomba sulla testa, abbracciate la croce come mezzo di salvezza e di santificazione per sé e per gli altri”

“…credo al dolore profumato dall’incenso della preghiera che apre i cieli e consola il cuore di Dio. Credo al dolore come arma potente per l’apostolato…”

ecco la sua dimensione missionaria che non viene meno ma anzi si potenzia all’infinito. 

“Credo al dolore vissuto con amore per ottenere grazie…” e continua, ma l’ultima frase è semplice e scaturisce da un cuore d’oro quasi ingenuo ma sapiente, della sapienza di Dio e non della sapienza dei dotti

“…credo al dolore come potente arma per disarmarci nei tanti contrasti e sfide della vita, perché ci fa pensare: tanto ci starò così poco sulla terra”

“Insegnaci a contare i nostri giorni” dice il salmista. E così giungeremo alla sapienza del cuore, invece a volte ci attacchiamo idolatricamente alle cose di questo mondo come fossero dei padri eterni senza sapere che il Padre Eterno è uno. 

A questo dolore ci unisce il fiore della sua vocazione: io come rosa tra le spine. Non c’è rosa senza spine ma tra le spine della sofferenza e della Croce fiorisce l’Atto del dono di sé.

“Prendete il mio giogo sopra di voi” dice Gesù.

E questa presa del giogo. Il termine coniuge, sposo, deriva da questa radice etimologica, i coniugi sono coloro che stanno sotto lo stesso giogo. Il giogo dell’amore, il giogo della Croce di Cristo. E come per due buoi che venivano appaiati sotto lo stesso giogo per tirare l’aratro; e per portare lo stesso giogo bisogna essere della stessa specie cioè bisogna essere assimilati a Cristo.

Lei portò come il Cireneo la Croce di Gesù e sentì che Cristo la portava con lei. Una immedesimazione la sua, nella Croce di Gesù, nella Passione d’Amore con la p maiuscola e con la p minuscola che da sostanza. Ecco perché diceva: “…i gioielli che Gesù mi ha dato sono questi dolori che io offro per amore…”.

E poi l’altra espressione del Vangelo che la definisce nella sua fisionomia spirituale: “…venite a me voi tutti che siete affaticati ed oppressi ed io vi darò ristoro e troverete ristoro per le vostre anime…”.

Quella sua sedia a rotelle, posta dalla mattina alla sera davanti al Tabernacolo, in preghiera silenziosa ed adorante divenne una cattedra di sapienza cristiana. Molto più eloquente di quella da cui parlo io in questo momento. Divenne un punto di convergenza di tante sofferenze umane. Divenne un centro di ascolto delle povertà, dei bisogni spirituali, materiali di tanti fratelli e sorelle che accorrevano a lei, che si definiva “la segreteria del Santissimo Sacramento”, che aveva tante cose da sbrogliare ogni mattina portando i suoi piccoli appunti e pregando incessantemente per offrire, intercedere secondo le intenzioni che le venivano affidate.

Che atto di Amore, di Riparazione. Fu veramente Ancella, a tempo pieno, anche se non era implicata nelle attività domestiche, nell’insegnamento a scuola. Il suo fu un Apostolato al 100%, oro nel crogiuolo. Adesso lei ci dice, consegnandoci questa eredità spirituale, non solo questa potenza di intercessione ma anche questo esempio stupendo di vita “…coraggio (quello che disse in punto di morte) sarò sempre con voi. Vorrei accendere il fuoco in tutto il mondo, espandere la gioia dell’Amore di Dio…”. 

Suor Alfonsa, dicci che questo dolore offerto per amore, ora, è il fuoco che accende il nostro cuore come a Emmaus per quei due discepoli, perché non è mai fine a se stesso il dolore umano, ma quando si dischiude alla Potenza della Resurrezione che assorbe tutto il male che c’è nel mondo e dentro di noi. Insegnaci ad espandere la gioia dell’Amore di Dio e ad esultarne di gioia come nel Magnificat di Maria, come nel Magnificat di Gesù qual è stato definito questo brano evangelico “…ti benedico Padre perché queste cose le hai rivelate ai piccoli…”. Le hai rivelate a lei, ed oggi per mezzo tuo vuoi rivelarle a noi. Fa che non restiamo sordi a questo messaggio, avvalorato da una testimonianza di vita autentica e preziosa per il regno di Dio e per la salvezza di tutta l’umanità. Amen. 

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